Focus del mese
Il San Gerolamo, pendant del Sant'Antonio Abate esposto in prima sala, fu acquistato dal Santuario per il Museo su sollecitazione di Lodovico Pogliaghi. Nell’Archivio Parrocchiale di S. Maria del Monte è infatti custodita una lettera, datata 21 febbraio 1901, in cui Pogliaghi ne consigliava l’acquisto per 100 lire (APSMM, Sezione storica, Santuario, cartella V, fascicolo I).
Due personalità autorevoli, quali lo storico dell’arte Gustavo Frizzoni e il restauratore Luigi Cavenaghi, assicuravano che i due dipinti potessero essere valutati anche di più. Pogliaghi li ascriveva alla “scuola lombarda”, con datazione verso la fine del Quattrocento, e li riteneva “parte evidentemente di una pala d’altare da cui furono ritagliati”, trovando una “rassomiglianza” con il Cristo Portacroce proveniente dal Monastero delle Romite Ambrosiane, attualmente esposto tra loro.
Le due tele sono tempere magre su supporto privo di preparazione, oggi in cornici moderne.
San Gerolamo è un vecchio cardinale con in mano una piccola chiesa, simbolo della Chiesa intera che egli, come Padre e Dottore, sostenne con studi, scritti e testimonianze. Di Gerolamo da Stridone, il più grande biblista della Chiesa Occidentale, è la celebre Vulgata, la traduzione in latino che fino al Concilio Vaticano II rimase la versione ufficiale dell’Antico e del Nuovo Testamento. A commissionargli l’impresa fu papa Damaso che lo volle a Roma come suo consigliere e segretario; per tale importante ruolo la tradizione medievale lo vestì della porpora cardinalizia, anche se Gerolamo non fu mai cardinale. Morì ultrasettantenne nel 420 a Betlemme, dove visse più di trent’anni: basterebbe questa ragione per legittimare la sua lunga barba bianca, ma significativo è il paragone con le raffigurazioni antiche di filosofi, insegnanti e saggi ai quali le barbe, seppure diverse rispetto a questa, conferiscono uguale autorevolezza.
Laura Marazzi
novembre 2016