Focus del mese

Paliotto leonardesco 1490, SETA RICAMATA CON IMBOTTITURE, CM 96 X 227, INV. 580
Il paliotto leonardesco è uno dei manufatti più interessanti del ricco patrimonio del Santuario di S. Maria del Monte.
Databile intorno al 1490, presenta un originale ricamo a rilievo con figure imbottite, ricamate e in parte dipinte a tempera.
A sinistra è S. Girolamo penitente, con l’inseparabile leone, e a destra S. Francesco che riceve le stigmate: sono soggetti che richiamano alla preghiera e alla penitenza e che si collocano perfettamente nella spiritualità di un luogo segnato dalla presenza del Monastero delle Romite.
È probabile che il cartone per i due santi sia stato fornito da un artista perché il rapporto tra pittura e ricamo era allora molto stretto. Prova immediata di ciò è la parte centrale del paliotto, in cui è ripresa la celebre Vergine delle Rocce, nella versione oggi al Louvre, prima opera nota commissionata a Milano a Leonardo, terminata entro il 1486 (l’ancona lignea con bassorilievi e sculture, che in S. Francesco Grande doveva accogliere al centro la Vergine delle Rocce, era già stata scolpita da Giacomo del Maino, autore anche del coro d’età sforzesca del Santuario di cui restano in Museo due dossali intagliati).
Tra le numerose copie dipinte sia della versione parigina che della seconda, ora alla National Gallery di Londra, il paliotto del Sacro Monte è l'unica copia in tessuto realizzata in anni vicini all’originale (P. C. Marani, La Vergine delle Rocce di Leonardo, la sua fortuna iconografica e il paliotto leonardesco del Santuario di S. Maria del Monte, Varese, 2005). L’indizio principale della derivazione dalla versione di Parigi è la mano dell’angelo con l’indice puntato verso S. Giovannino inginocchiato a ricevere la benedizione di Gesù; la mano, assente nella versione londinese, nel paliotto è posta entro l’aureola di Gesù Bambino (che come le altre figure, contrariamente al modello, ha un nimbo dorato).
La Vergine delle Rocce è affiancata da piante con grandi fiori bianchi, in parte di restauro, che riprendono lo scudo araldico bipartito soprastante: è la pianta presente a sinistra nello stemma dei Panigarola, importante famiglia milanese (è uno stemma “parlante” perché Panigarola deriva dal dialetto panigada, panighell che indica i fiori e il frutto in grappolo del sambuco); quello a destra dovrebbe essere lo stemma degli Arconati. Le lettere IO AL vengono normalmente ritenute abbreviazioni di Ioannes Aloysius Panigarola, giudice e magistrato a Milano tra 1515 e 1523, possibile committente dell’opera.
Saremmo dunque in anni prossimi, ma non vicinissimi, alla datazione tra il 1486 e il 1493 proposta da Marina Carmignani nell’ultimo studio sul ricamo del paliotto (M. Carmignani, in Seta Oro Cremisi. Segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza, catalogo mostra, Milano, 2009, pp. 144 – 145, n. 41). La Carmignani ha sottolineato il dislivello qualitativo tra lo sfondo, in cui anche le rocce dietro alla Vergine appaiono molto semplificate, e le figure, realizzate dalla stessa abile mano con cura e particolare intensità nei volti. Sono invece di notevole qualità esecutiva le rocce frastagliate lungo il margine inferiore del paliotto, che mostrano un’interessante affinità con le rocce del ricamo dell’Imago Pietatis del Museo Poldi Pezzoli, pressoché coevo al paliotto leonardesco.
Le imbottiture sono di tela e, sotto alle parti a maggior rilievo, di cotone: l’utilizzo plastico dell’alto e basso rilievo in bambagia è una tecnica di origine centro-europea, presente anche nel sontuoso baldacchino Pallavicini del Museo Diocesano di Lodi. Purtroppo risultano rovinate alcune zone più sporgenti, come i visi della Madonna, dell’angelo e di S. Francesco (già nel 1898, nella scheda dell’Ufficio Regio per la conservazione dei monumenti in Lombardia, si scrisse che non veniva usato da “qualche tempo” al fine di “non sciuparlo maggiormente”).
Le figure e le rocce sono profilate con cordone di canapa dipinto a tempera in marrone, ma sono usati anche cordonetti di oro filato di due diverse grandezze. I volti dei santi sono di raso dipinto a tempera con occhi, bocca e parte dei capelli ricamati. Accattivanti sono le visioni ravvicinate di alcuni particolari, come le decorazioni eseguite con le "magete", anellini metallici usati quali fiori luccicanti sui ciuffi d’erba presenti sia sul terreno più vicino alle rocce (magete con sei bombature) sia in sul prato verde (magete piatte).
Se è soddisfacente l’analisi tecnica del paliotto, si spera che possa progredire la ricerca storica intorno al committente e ai modelli figurativi per S. Francesco e S. Gerolamo.
Non è escluso che Samuel Butler si riferisse proprio al Paliotto leonardesco scrivendo nel 1881 “Il visitatore chieda al sacrestano di mostrargli uno splendido pagliotto (…) ricamato in rilievo, opera del tredicesimo (sic) secolo” (S. Butler, Alpi e santuari, Asti, 2004, p. 268).

Laura Marazzi

giugno 2015
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