Focus del mese

Paliotto con gli stemmi Sforza ed Este 1494 - 1495, SE

Il Paliotto con gli stemmi Sforza ed Este è una delle opere più importanti mai donate al Santuario di S. Maria del Monte.
Se nel Tettamantio è generico il riferimento a paramenti “tessuti & ricamati ad oro & seta” offerti da Ludovico Sforza detto il Moro e dalla moglie Beatrice d’Este (C. Tettamantio, Historia del Sacro Monte sopra Varese, Milano, 1655, p. 50), più sicura è l’attestazione del Bigiogero che scrive di “Paramenti ricchissimi d’oro donati da’ Signori Duchi di Milano, ne’ quali si vedono intessute le loro insegne, ed in particolare li nomi di Lodovico Maria, e Beatrice da Este Sforza, che fra gli altri Duchi furono sempre divotissimi di Maria (D. Bigiogero, Le glorie della Gran Vergine a Sagro Monte sopra Varese…, Milano, 1699, p. 32).
Pur essendo ben documentata la devozione del Moro per la Madonna del Monte, presso la quale si recò più volte in pellegrinaggio, è indubbio che il prezioso paliotto e la nuova decorazione interna del Santuario, promossa da Ludovico nel 1497, vadano letti nell’ambito di una precisa politica culturale che, iniziata ben prima di essere nominato ufficialmente duca, fu volta ad accreditare la propria immagine di legittimo erede della dinastia sforzesca.
Non sorprende quindi che il paliotto, che rivestiva la parte anteriore dell’altare, non abbia riferimenti eucaristici, ma contenga solo una diretta celebrazione del committente: gli stemmi Sforza (a sinistra) ed Este (a destra), ripetuti entro girali vegetali sormontati dalla corona ducale, sono accompagnati dai nomi abbreviati dei donatori uniti alla parola “IVGALES” (sposi) e al titolo “DU(x) M(edio)L(an)I” (duca di Milano), elemento che aiuta a fissare la datazione del tessuto oltre l’investitura imperiale del 1494.
Questo eccezionale manufatto conferma quanto l’esibizione della ricchezza, perseguita quale immagine di potenza, sia stato un tratto distintivo del regno del Moro. È un velluto broccato a tre colori, il massimo che si sia mai saputo tessere (rosso per i contorni del disegno, le lettere, le bacche; nero per l’aquila sforzesca; verde per il biscione ormai scomparso). I filati metallici, composti da una lamina d’argento dorata avvolta a spirale su un'anima di seta, sono molto stretti e spessi. Lo sfarzo del bouclé d’oro filato, in cui le trame di metallo si sollevano a formare anelli che creano un effetto a rilievo e innumerevoli punti luce, si rileva nelle foglie che circondano gli stemmi, nei gigli e nelle aquile dello stemma estense, ottenuto con trame supplementari di seta celeste e argento filato. Il costoso rosso cremisi è usato per l’ordito di fondo e, caso più unico che raro, per la legatura.
Superba è la fascia ricamata superiore con la scopetta alternata al caduceo tra draghi, immagini araldiche care al Moro. La presenza ben distribuita delle “magete”, anellini metallici di diverse forme e dimensioni per la cui fabbricazione allora Milano si distingueva in quanto a varietà e qualità, tocca l’apice nel manico della scopetta in cui le magete, di poco più di tre millimetri di diametro, sono centrate nel motivo a griglia. Pur essendo “coeva e proveniente dalla corte ducale”, questa fascia potrebbe essere stata aggiunta al paliotto in occasione dell’adattamento al nuovo altare seicentesco del Santuario.
L'ipotesi è di Chiara Buss, alla quale si deve l’ultimo studio completo del paliotto e le dettagliate considerazioni tecniche qui riassunte (l’analisi del ricamo è di Marina Carmignani). La Buss, notando come “l’armatura” del paliottosi presenti “così complessa da essere, per il momento, (…)  non paragonabile ad alcunché”, ha concluso che “il tessuto fu costruito a Milano da maestranze che operavano in città, forse di origine fiorentina o, più probabilmente, di scuola fiorentina (Seta Oro Cremisi. Segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza, Milano, 2009 - 2010, pp. 82 - 85 n. 10, 148 n. 43).
Tale straordinario paliotto ha goduto di un’attenzione costante: al di là delle citazioni riportate all’inizio di questa scheda, interessa sottolineare come nelle guide ottocentesche del Santuario lo si indicasse tra le cose notevoli da vedere in sagrestia (si veda per esempio G. C. Bizzozero, Varese e il suo territorio. Guida descrittiva, Varese, 1874, p. 109). Nel 1918, in piena Prima Guerra Mondiale, fu tra le quattro opere del Museo “sfollate” a Roma per misura precauzionale (Archivio Parrocchia S. Maria del Monte, Liber Chronicus 1898 – 1925, 17 giugno 1918).

Laura Marazzi

giugno 2014

 

Archivio Focus
Zingara con il tamburello AMBITO DI MICHAEL SWEERTS (BRUXELLES 1618 - GOA 1664)
LEGGI TUTTO
Stipo con San Giuseppe e Gesù Bambino nella bottega di Nazareth
LEGGI TUTTO
Cambio dei cavalli PHILIPS WOUWERMAN (HAARLEM 1619 - 1668)
LEGGI TUTTO
Natura morta con funghi GIACOMO CERUTI DETTO IL PITOCCHETTO (MILANO 1698 - 1767)
LEGGI TUTTO
ARCHIVIO